CORRIERE ROMAGNA - Lantignotti "Domenica il Cesena deve vincere"

Christian Lantignotti, cosa ha significato per lei giocare nel Milan?«Sono nato a Milano e sono milanista: arrivare in prima squadra dalla Primavera fu una soddisfazione enorme. Un po’ come per un ragazzo di Cesena giocare nel Cesena». Chi ricorda tra i compagni di squadra nella sua Primavera?«Tutta gente che avrebbe giocato in A: Antonioli, Porrini, Matteo Villa, Nava, Pessotto, Albertini, Mannari, Toldo, Capellini, Valtolina, Pierpaolo Bresciani e così via». Il suo esordio in prima squadra?«A 18 anni, Milan-Lazio 0-0 (16 ottobre 1988, ndr), entrai in campo dopo 20 minuti del secondo tempo al posto di Gullit». Come era il suo rapporto con i senatori del Milan di Sacchi?«Molto diverso da quello dei giovani di oggi. Quel Milan era un Milan di marziani, erano i miei idoli, io andavo ad allenarmi con loro e quando vedevo Baresi mi veniva quasi da dargli del “lei”. Gli allenamenti poi erano spettacolari».Spettacolari in che senso?«In tutti i sensi: c’erano i tre olandesi (Gullit, Rijkaard e Van Basten, ndr), c’erano venti fuoriclasse sia a livello tecnico che fisico. Si andava sempre ai mille all’ora: Sacchi in questo rivoluzionò il modo di pensare di tutti». È vero che Sacchi alla fine pagò per il rapporto con Van Basten?«Sacchi era un allenatore straordinario, ma molto rigido, mentre Van Basten voleva libertà di spirito. A Van Basten non puoi togliergli la partitina o il calcio-tennis con i compagni per spiegargli certe cose alla lavagna. Quando succedeva, gli “partiva la brocca”, è tipico dei fuoriclasse». Sacchi era un rivoluzionario, come venne accolto da una squadra composta da venti nazionali? «Fu bravo il gruppo dei giocatori e fu brava la società. A livello dirigenziale, Berlusconi e Galliani sono due fuoriclasse. È come per i genitori davanti a un figlio: se i genitori sono compatti e coerenti, il figlio ubbidisce. Nel Milan i genitori erano i dirigenti e l’allenatore e la squadra ubbidiva». Oltre a Van Basten, non ci furono altri malumori?«Beh, quando Baresi si sentiva dire che doveva imparare da Signorini (allievo di Sacchi a Parma, ndr) o Tassotti vedeva Bianchi giocare al suo posto, allora sobbalzavano un po’, ma poi tutto si metteva a posto». I compagni in campo come la trattavano?«Io ero un centrocampista 18enne che amava mettersi in mostra. A volte esageravo con i tunnel e i dribbling e prendevo certe stecche... Ricordo ancora le battute in coro di Ancelotti e Tassotti». Cosa dicevano?«Prima delle partitelle venivano da me e iniziava Ancelotti: «Lanti, io ti alzo...». E Tassotti: «... Poi io ti rinvio». Ma erano botte costruttive, mi sono servite a crescere». Lei rimase due anni in prima squadra e se ne andò nel 1990, a soli 20 anni. Ha qualche rimpianto?«Io non ero un campione come loro, però avevo talento e forse potevo riuscire a restare di più tra quei fenomeni. Da ragazzino avevo altre cose per la testa e pensavo anche a divertirmi, non ero come Albertini, che a 17 anni ragionava già come uno di 26. Però nonostante due gravi infortuni ho fatto 17 anni di professionismo tra A, B e C2 e posso ritenermi soddisfatto». Cos’è lo stile-Milan?«Uno stile che annulla i problemi con i giocatori difficili, vedi Cassano o Ronaldinho. I casini che scoppiano da altre parti, al Milan non succedono, la società ha grande forza». Lo scorso agosto lei ha partecipato alla tournèe in Oriente con il Milan Glorie. «È stata una bella esperienza, giocatori come Dida o Serginho potrebbero ancora giocare in A». Durante la tournée si è sentito come un milanese che tornava a casa o come un cesenate che giocava nel Milan?«Mi sentivo un cesenate che tornava a giocare con dei vecchi amici». Nessuna nostalgia di Milano?«A Milano sono nato, ma non tornerei mai a viverci. Qui sto alla grande: tutti sorridono. Sembra poco, ma è una gran cosa». Eppure lei venne a giocare a Cesena a 21 anni e cambio maglia a 23.«Quando arrivai, la segretaria Diletta in sede mi disse: “Eccone un altro che si sposa e si ferma qui”. Io mi misi a ridere, invece ci aveva preso. Vivo a Calisese con mia moglie Mara e i miei figli Michela, Anna e Andrea. Michela, la più grande, ha 15 anni e mezzo, gioca a pallavolo e ha già avuto la soddisfazione di debuttare in B2 con il Volley Club».Domenica come vede Cesena-Milan?«È una finale di Coppa dei Campioni. Il Milan è di un altro livello, ma il Cesena deve affrontarlo come se fosse il Catania, deve provare a vincere. Per una volta sarei contento se perdesse il Milan: i punti che non farà al Manuzzi, se li riprenderà nello scontro diretto con la Juve». Come si trova ad allenare i Pulcini?«Dopo due anni da collaboratore tecnico degli Allievi, è la mia prima esperienza e all’inizio ero un po’ titubante. Invece è un’avventura splendida. Dai miei ragazzi sto ricevendo molto di più di quello che cerco di dare».È difficile gestire allievi così piccoli?«Il primo giorno qualcuno di loro mi ha chiesto: “Mister, con che modulo giochiamo?”. Io ho risposto: “Prendete il pallone e divertitevi”. E senza moduli o schemi, sapeste come si divertono».