Tra il Var e il Festival della Tetta

Brutta bestia, il calcio moderno. E questa cosa non la pensano ‘soltanto’ al Bar Cesena…
19.11.2025 10:25 di  Flavio Bertozzi   vedi letture
Tra il Var e il Festival della Tetta

Ne parlavo giusto qualche minuto fa. Qui. Al Bar Cesena. Davanti a un cappuccino e a un bombolone alla crema. Assieme a un paio di miei vecchi compagni di merende. Il calcio moderno? Mi annoia. Mi annoia terribilmente. A 360 gradi. Vabbè, il ‘mio’ Cavalluccio quest’anno è partito alla grande. Diciamo pure alla grandissima. Ma questo che c’entra? Il discorso che sto facendo è molto più ampio: parte dall’Italietta di Gattuso per poi toccare (anche) ciò che resta di quello che una volta era il campionato più bello del mondo. La Champions League. Per l’appunto, pure la Serie B. Quella stessa Serie B che tutti celebrano, ma che in realtà già da tanti anni fa rima con mediocrità. Mediocrità allo stato puro. Da piccolo al Manuzzi? Ho visto esibirsi (anche) Maradona, Gullit, Van Basten, Domini, Bianchi ed Agostini. Poi, una volta cresciuto e diventato giornalista (o giornalaio, come afferma qualche mio hater…), ho raccontato (anche) delle gesta di Del Piero, di Pirlo, di Ibra, di Jimenez, di Salvetti, di Giaccherini. Respirando a pieni polmoni le loro giocate di alta qualità. Qualità che – potrà sembrarvi strano ma è così – una volta abbondava nel calcio nostrano. Anche in quel purgatorio ‘chiamato’ Serie B. Oggi abbiamo i gps futuristici. L’intelligenza artificiale applicata allo studio della tattica. Il Var. La goal-line technology. Il fair play. Lussuosissime aree hospitality dove poter degustare croccanti lasagnette al profumo di mare. Gli allenatori incravattati. Gli stilisti di chiara fama mondiale che disegnano le seconde e le terze maglie dei nostri club. La Sagra del Perizoma in Tribuna Centrale. Il Festival della Tetta (rifatta) in Sala Stampa. Le wags-influencer ad alto tasso di mignottume.  E poi? Che cazzo abbiamo? Poco. Pochissimo. Quasi nulla. Anche perché, i parrucconi che governano il sempre più disastrato Calcio Globale, ben si guardano dal ‘tagliare’ queste lunghissime ed abominevoli stagioni agonistiche dove in media un atleta – tra campionato, coppette varie e nazionali – si trova costretto a giocare 55-60 partite all’anno. Anche perché, un buon 90% delle partite che si vedono in giro, sono digeribili quanto una peperonata scongelata. Anche perché, nel dubbio, al giorno d’oggi in area di rigore ti assegnano un penalty contro pure quando al tuo difensore gli scappa una semplice scoreggia. Anche perché la classe arbitrale già da tempo si è dimenticata che il calcio, in realtà, sarebbe uno sport di contatto. Ecco, sì: uno sport di contatto. Che con il Var, il mio vecchio amico Angelo Rea e il mio vecchio idolo Maurizio Lauro, in media avrebbero passato 4 giornate su 5 dietro alla lavagna. Come un Pasquale Bruno qualsiasi.