Ecco perché gli imprenditori romagnoli non comprano il Cesena

Perché il ‘povero’ Cavalluccio continua a far gola soltanto ai forestieri cinici e senza passione? Le risposte sono molteplici. E tutte estremamente interessanti…
02.08.2021 13:30 di  Flavio Bertozzi   vedi letture
Ecco perché gli imprenditori romagnoli non comprano il Cesena

Perché, oggi come ieri, i grandi imprenditori romagnoli non comprano il Cesena? Perché, salvo ormai improbabili terremoti, fra qualche mese il Cavalluccio non sarà più ‘targato’ Romagna e finirà nelle mani di – come teme qualcuno –  freddi e cinici forestieri che magari non conoscono nemmeno il Bisonte, il Condor o il Conte? Semplice: perché il calcio italiano non è un buon investimento.

Vero, ci sarebbe da tenere conto del ‘discorso’ passione. Ma secondo voi perché mai un imprenditore romagnolo di successo, uno di quelli bravi, uno di quelli seri, uno di quelli che pagano le tasse sino all’ultimo centesimo, per una semplice passione, per un giochino da ricco o da quasi ricco, dovrebbe mettere a repentaglio la salute delle sue aziende, i posti di lavoro dei suoi dipendenti e il futuro della sua famiglia? “Per allargare i confini commerciali delle aziende stesse”, risponde prontamente qualcuno. Ma la risposta è errata: perché a livello di fatturato, la C e la B, non portano poi tutti questi grandi cataclismi. Soprattutto in questa maledetta epoca Covid-19.

Recentemente tanti (più o meno) volti noti di Cesena hanno criticato aspramente i grandi imprenditori del Territorio, rei di non voler prendere in mano le redini del ‘povero’ Cavalluccio. Ecco, questa francamente è la cosa che più mi fa sorridere. Anzi, che più mi manda in bestia. Perché è sempre facile parlare dei soldi degli altri. Perché è sempre facile piazzare la battuta pre-confenzionata ‘Se quegli egoisti di X, Y o Z non entrano nel Cesena significa che non vogliono bene né al Cavalluccio né alla Romagna’…”. No, non è questa la verità. La verità è che il calcio moderno è un mondo bastardo. Bastardissimo. Un mondo da evitare. Un passaporto per l’inferno.

Conosco almeno un paio di imprenditori locali (molto) benestanti che amano alla follia il Cesena ma che non si sognano minimamente di comprare il Cavalluccio. “Perché – dicono loro – se le cose vanno bene è tutto ok: la gente ti adora, ti ringrazia, ti manda i regali a casa, ti invita a feste ed eventi. Ma se poi le cose vanno male è un macello…. Vero, è proprio così. Perché un forestiero, se le cose precipitano, al massimo si becca un paio di sfottò allo stadio. Qualche contestazione a Villa Silvia. Ma poi, il forestiero, la scappatoia la trova sempre. A differenza di chi ‘vive’ quotidianamente il Territorio. “Perché io – mi hanno detto diversi big del Territorio – se le cose vanno male voglio continuare ad andare tranquillamente al bar, al ristorante, al cinema o in spiaggia. Senza dovermi confrontare quotidianamente con tifosi inviperiti e pure violenti che mi chiedono conto della classifica deficitaria del Cesena, della crisi del bomber di turno o del nuovo regista che non arriva perché non ci sono i soldi in cassa”. Parole sante. Santissime.

Ma allora, se il calcio italiano è a rischio default, se anche le superbig della A sono con l’acqua alla gola, se questo Sistema è infarcito di colossali incognite (anche) virali, chi ha interesse al giorno d’oggi, ad investire nel mondo (professionistico) delle pedata nostrana? Magari qualcuno che vuole usare il calcio per addomesticare la politica locale. Qualcuno che vuole costruire un centro commerciale, dei complessi residenziali, uno stadio o un centro sportivo nuovo. Magari qualcuno che vuole ‘semplicemente’ smuovere un po’ di… denaro. O chissà, magari anche qualche imprenditore over sessanta col portafoglio più o meno gonfio che – dopo una triste vita passata lontano dalle luci dei riflettori – arde dal desiderio di finire sui giornali un giorno sì e l’altro pure.

Ma chi sarà il nuovo presidente del Cesena? Non lo so. Nessuno lo sa. Secondo me però, il nuovo patron del Cavalluccio, per essere il presidente perfetto, dovrebbe avere la lungimiranza di Dino Manuzzi. La passione di Edmeo Lugaresi. La competenza in materia calcistica di Igor Campedelli. L’attenzione in tema di bilanci di Augusto Patrignani. E l’amore per il pesce del Medio Adriatico di Giorgio Lugaresi. Mi sa che ho esagerato, vero? Allora sì, fatemi riformulare il mio pensiero. Sarei già contento se il nuovo presidente del Cesena avesse un 1% della passione in bianco e nero che aveva Edmeo. O Dino. Chiedo troppo? Forse sì. Ma è il tempo che passa, signori. Bisogna farsene una ragione. Il calcio romantico è morto già 20 anni fa. Forse anche 30 anni fa. Diciamo anche 40 anni fa. Purtroppo.

Aposto.