Mignani a Cesena. Tra passato, presente e futuro
Per Michele Mignani, al contrario di qualche mio più o meno blasonato collega, negli ultimi due mesi non ho mai speso aggettivi mirabolanti. MAI. E francamente non saprei dire nemmeno io il perché. Anzi no, forse – sto ragionando a voce alta, eh – lo so fin troppo bene perché in questi ultimi due mesi per Michele Mignani non ho mai speso aggettivi mirabolanti. Forse, nella mia mente, il ricordo legato a quel dicembre 2024 da film horror è ancora una ferita aperta. Forse non ho ancora mandato giù il fatto che la scorsa stagione il Divin Berti nel girone di ritorno sia stato gestito in maniera scellerata dal punto di vista tattico. Forse non sono mai stato un grande estimatore della – ehm ehm – ‘gestione cambi’ di Mignani. E poi suvvia, non prendiamoci in giro: Mignani, troppo spesso, non sempre ma spesso, davanti a taccuini e microfoni è effervescente come una bottiglia di Ferrarelle aperta da due anni. E al sottoscritto, i mister che parlano alle conferenze pre e post partita con lo stesso entusiasmo di un condannato a morte che si avvia al patibolo, provocano da sempre orticaria. Dunque lo confermo: per Michele Mignani in questi ultimi due mesi non ho mai speso aggettivi mirabolanti. Allo stesso tempo però – questa cosa la sanno tutti, eh: i miei quattro lettori, i dirigenti del Cavalluccio, l’addetto stampa del Cesena, Mignani stesso, pure mia suocera – a differenza di qualche mio più o meno blasonato collega io la scorsa stagione non ho mai invocato il defenestramento di Mignani. MAI. Nemmeno quando sembrava davvero che Mignani avesse perso pericolosamente la trebisonda. E tutto questo perché? Semplice, semplicissimo: perché, come ho già avuto modo di scrivere più volte in passato, ritengo l’ex trainer (anche) di Bari e Palermo un buon allenatore. Un allenatore da… Cesena. Un allenatore preparato. Un professionista serio. Un gentiluomo. Magari un po’ troppo permaloso, eh. Ma pur sempre un gentiluomo. Un gentiluomo che, nonostante i buoni risultati raccolti sinora in riva al Savio (7° posto la scorsa stagione con raggiungimento dei play-off, 4° posto momentaneo nella stagione in corso nonostante una rosa gonfia di colossali lacune strutturali) non è ancora riuscito a far innamorare sul serio il Popolo di Romagna. Popolo di Romagna che, in questi primi 85 anni di storia, a parte rarissime eccezioni, ai condottieri silenziosi e troppo educati ha sempre preferito gli allenatori spacca-panchine. Gli allenatori da battaglia. Gli allenatori mangia-giornalisti. Tanto per capirci: gli allenatori alla Castori, alla Bisoli. Domanda: e se Mignani rappresentasse un’altra eccezione colorata di bianconero? E se prossimamente su questi schermi – magari già domenica prossima nella sfida interna con l’Avellino, prima del fischio d’inizio – dalla Curva Mare partisse un bel coro pro-Mignani? Sarebbe un bel modo per mettersi definitivamente alle spalle l’evitabilissima sconfitta maturata ieri a Bari. Una sconfitta gonfia di rimpianti ‘targati’ Mignani. Ma anche (o soprattutto?) figlia di agghiaccianti lacune al gusto di spending review. Lacune su cui, Mignani, può fare ben poco.
PS 1: Quelli che… ma che colpe ha Mignani se Shpendi non vede (quasi) mai la porta?
PS 2: Quelli che… epperò è Mignani che continua a togliere anzitempo dal campo l’unico giocatore – per l’appunto Shpendi – in grado di buttarla dentro…
PS 3: Quelli che… il Cesena a Bari era partito col piglio giusto. E nella prima mezz’ora aveva sfiorato il gol 3 volte. Anzi, un gol regolare l’aveva pure fatto…
PS 4: Quelli che… epperò se getti nella mischia (anche) Diao e Bastoni vuol dire che ti vuoi scavare la fossa da solo…
