Il potere si misura nella complicità degli oppositori

Il potere di chi comanda si misura anche da quanto riesce a controllare le classi sociali che dovrebbero opporsi. Se queste classi finiscono per agire secondo gli interessi dei potenti, allora significa che chi comanda ha davvero vinto.
Ed è proprio quello che è appena accaduto in seguito all’imposizione delle porte chiuse per Forlì-Rimini (gara 3 di basket, ed eventualmente per il resto della serie), a causa dei fatti accaduti martedì: una mandria impazzita di presunti tifosi si è riversata sui social non per protestare contro l’assurda e vessatoria decisione, ma contro i protagonisti degli scontri a Rimini.
Qui sta la grande vittoria di chi, ormai da mesi, ha adottato una linea dura contro ogni diritto del tifoso: una battaglia portata avanti — non dimentichiamolo — con il supporto di una certa stampa compiacente, amante dei titoloni sensazionalistici su fatti che meriterebbero, al massimo, un trafiletto in quarta pagina.
Ma andiamo per gradi. Martedì sera iniziano a circolare alcuni video che mostrano scontri tra tifosi locali della PF2015 a Rimini. Si tratta di filmati di poco più di tre minuti, nei quali non viene coinvolto nessun estraneo né si riscontrano danni, se non qualche sedia di plastica di quelle da 4 euro che all'Ikea si trovano poco prima delle casse.
In poche parole: si discute del nulla, dal punto di vista del cittadino comune. Eppure bastano pochi minuti per montare il caso, creare clamore e invocare misure drastiche che puntualmente arrivano: porte chiuse. Ed è qui che possiamo analizzare tre aspetti fondamentali di questa vicenda surreale.
1. L’incapacità a garantire la sicurezza
La decisione delle porte chiuse è la chiara ammissione di incapacità nel garantire la sicurezza minima per eventi sportivi che richiamano appena poche migliaia di persone — numeri ben lontani dalle 10 o 17 mila dell’Orogel Stadium Dino Manuzzi. Le autorità scelgono la misura estrema perché non sanno proporre alternative.
I sindaci, spesso lasciati soli ad affrontare problemi ben più seri di ordine pubblico, dovrebbero prenderne atto. Se il problema non è ancora esploso è solo per rispetto istituzionale, ma il malcontento — almeno tra Cesena e Forlì — cresce. È più pericoloso mandare una donna a prendere il treno da sola in una stazione tra Rimini e Forlì o farla andare al palazzetto per questo derby? La risposta che darete contiene già il giudizio implicito sull’operato di chi dovrebbe garantire la sicurezza.
2. L’incredibile comunicato della Pallacanestro Forlì
La società arriva a invocare addirittura “daspo a vita” per i responsabili, ignorando che simili provvedimenti — nei paesi del Nord Europa — sono adottati dalle società, limitati ai propri impianti, e non disposti dagli organi di polizia. Il “daspo a vita” non esiste.
3. Il dito puntato dai tifosi “modello”
La parte più triste è rappresentata dai tanti tifosi che puntano il dito contro “quei 50 che hanno fatto casino”. Probabilmente quelli che si strappano i capelli via social sono gli stessi che si lamentavano che il derby di ritorno in campionato, senza ultras, non aveva atmosfera; che senza calore e colore sembra di essere al cinema. Forse però pochi di questi erano presenti nelle tre precedenti trasferte a Cividale.
Forse non si rendono conto di avere unicamente una valenza economica in quanto paganti, ma di essere — sul piano del tifo — tifosi di serie B. O di A2 se preferite.