Renatone Lucchi: il calcio e... basta

Ci manca come amico e manca anche al Cesena, quel gigante d’uomo che spese due terzi della sua vita al servizio del calcio della sua città e di altri club (Rimini, Pisa, Catanzaro, Venezia, etc.). Renato Lucchi, cesenate purosangue, era nato sui pianerottoli della miseria come tanti; poco cibo, poca scuola, ma tanto calcio da permettergli di ben figurare come giocatore, come allenatore e come Direttore Sportivo. Alle prime armi come Diesse, varcava i saloni del Gallia (sede del mercato calciatori) con la titubanza che si conveniva ai debuttanti. Gli bastarono pochi anni per maturare l’esperienza e la furbizia che servivano in quel covo di furbastri del calcio. In men che non si dica, Renatone da Cesena arrivò al punto di abbracciare o farsi abbracciare dai Boniperti, i Moratti, i Viola, Moggi, Ferlaino, alla stregua di amici del bar. Quando si sedeva al tavolo delle trattative, nei saloni del mercato calcistico milanese, Lucchi a stretto contatto con questi personaggi era solito aprire il dialogo con un “Diamoci del te”. Un’espressione tipicamente romagnola che ben poco si sposava con il vero italiano. Probabilmente il “tu” gli appariva scarsamente confidenziale! Renato Lucchi al momento del mercato calcistico era un furbastro incallito. La merce che aveva da vendere, ossia i giocatori in uscita dal Cesena, a suo dire, era roba di “prima”; atleti di garanzia per grosse squadre. I giocatori da acquistare, sempre a detta di Renatone, erano semplici giocatori in fase calante e da difficile rilancio; come dire, giocatori di scarso valore e dal basso costo. Così facendo, Lucchi durante la carriera da manager di mercato rappresentò la fortuna finanziaria di vari club. I presidenti Dino Manuzzi ed Edmeo Lugaresi, avvalendosi dei suggerimenti di Renatone, alla fine di ogni stagione calcistica, si ritrovavano sempre con i conti finanziari a posto e con squadre pronte a ripartire senza pesare sui bilanci societari. Fra le occasioni della vita, a Lucchi capitò anche di trasformarsi da uomo di sport a personaggio d’industria; solo se avesse accettato i consigli della moglie tedesca Barbara, che assieme ai due figli lo invitava a lasciare l’Italia per trasferirsi a Brema in Germania, dove c’era e c’è tutt’ora una fabbrica di famiglia, Lucchi avrebbe cambiato vita. Niente da fare. Lui era troppo innamorato di Cesena e del Cesena; non avrebbe mai cambiato i suoi affetti romagnoli e sportivi neppure per una montagna di marchi.