Patrignani tuona: “Il Covid ci ha costretti a vendere. Ora bisogna tentare tutto il possibile per andare in B”

L’ormai ex presidente del Cesena FC parla a tutto tondo della sua esperienza triennale alla guida della società bianconera.
09.01.2022 19:30 di  Giacomo Giunchi   vedi letture
Patrignani tuona: “Il Covid ci ha costretti a vendere. Ora bisogna tentare tutto il possibile per andare in B”
© foto di CesenaToday.it

Tre anni e mezzo fa, insieme ad altri soci, ha fatto risorgere il Cesena dalle proprie ceneri, riuscendo a riportarlo tra le squadre di punta della Serie C. Stiamo parlando del ‘CAP’, di Corrado Augusto Patrignani, ex presidente del Cavalluccio che ad oggi si è defilato dalla direzione del club per lasciare spazio alla nuova proprietà americana. Riusciranno Lewis e Aiello a riportare il Cesena dove merita? Di questo e molto altro ce ne ha parlato Patrignani in questa esclusiva intervista per Tuttocesena.it.


Patrignani, torniamo agli inizi: quale fu la principale ragione per cui nell’estate 2018 lei fece questa “follia”, come lei spesso l’ha definita, insieme agli altri soci?
“Il Cesena era fallito, se non ci fosse stata una ripartenza immediata si sarebbe potuto perdere un blasone di ottant’anni di storia. Questo ha spinto me e tutti gli altri soci in questa direzione, la volontà di rimettere in piedi il Cesena per evitare che si perdesse questa tradizione”.

A distanza di tre anni e mezzo ha qualche rimpianto di quell’estate o tutto andò come previsto?
“Quell’estate è stata fantastica. C’erano mille incognite del nuovo percorso da affrontare tra le quali la partenza ritardata. Però la grande passione dei soci, che c’era e che c’è sempre stata, ha fatto sì che si formasse un gruppo di amici tutti uniti nel lottare per raggiungere il risultato di vincere il campionato”.

Ora il suo e il vostro percorso nel Cesena come prosegue?
“Noi come Holding abbiamo 28 soci che partecipano nel Cesena, ad oggi deteniamo ancora il 40%. Il progetto, se tutto va bene, è quello di vendere un altro 20% il prossimo luglio, e nel 2023 l’ultima trance”.

Per un attimo c’è stata l’illusione da parte sua di poter essere un presidente stabile, e non un traghettatore, come si è praticamente sempre definito?
“Diciamo che c’era la volontà di portare i soci ad una cinquantina di persone, in questa maniera la compagine sarebbe potuta ad andare avanti così com’era nata. Dopodiché non è detto che sarei rimasto sempre io come presidente, non è dato saperlo. Il progetto degli imprenditori era quello di portare i soci ad un numero tale da poter essere autosufficiente, ma dal momento in cui è arrivata la pandemia e i partecipanti della Holding non sono aumentati, a quel punto non si poteva pensare di portare avanti il progetto. Perciò ci siamo definiti tutti dei traghettatori, proprio perché aspettavamo un socio forte, dal momento che non si riuscivano più a trovare dei soci alla pari”.

Secondo lei, con la chiusura degli stadi che si riavvicina, hanno gestito e stanno gestendo la pandemia nel giusto modo?
“È chiaro che con il senno di poi siamo tutti molto più bravi. Una pandemia non è una cosa di cui uno può essere esperto. Quando succede di esperti ce ne sono pochi; ci sono gli specializzati che vanno a fondo della questione e quindi scelgono di prendere delle soluzioni. È chiaro che col senno di poi sono stati fatti sicuramente degli errori, anche nel mondo sportivo. L’errore secondo me è stato quello di chiudere gli stadi quando in realtà si sarebbe potuto gestire in una maniera diversa. Uno stadio come il nostro conta ventimila posti a sedere: anche solo con il 30% di pubblico, noi avremmo potuto avere le risorse per portare i nostri tifosi allo stadio e avere meno problemi economici, tutto ciò lavorando in sicurezza. Questa sicuramente è stata una decisione sbagliata”.

Venendo all’oggi, sono già state rinviate le prime due giornate. Era inevitabile, no?
“Spostare due giornate è accettabile, anche perché ci sono un 15% di giocatori positivi in Serie C. Fermare per un breve periodo il campionato ha senso, inoltre si può comprendere meglio la situazione. Alla fine però i campionati sono un po’ falsati, con i recuperi che si vanno ad accumulare. Sono decisioni complicate ma comunque, ripeto, con il senno di poi è facile per tutti”.

Quando ha capito che la sua presidenza era ormai avviata al tramonto?
“Prima dell’ultima estate siamo stati ad un passo, poi però non è arrivato il bonifico (ride, ndr). È chiaro che nel momento in cui arriva un socio forte, come poi è successo, era normale che io non avrei più avuto la presidenza”.

Pensa che in estate ci sia stata troppa esposizione da parte della società sulla trattativa poi naufragata dell’acquisizione del Cesena? Oppure è stata la stampa a dare per certo qualcosa che magari era ancora da discutere?
“La trattativa era incanalata bene, l’avevamo data un po’ tutti per fatta. Fortunatamente ciò non ha influito più di tanto, siamo riusciti a continuare a lavorare con il pensiero che la trattativa non andasse in porto; siamo stati molto previdenti. Ci credevamo ma allo stesso tempo non abbiamo lasciato nulla al caso. Lo ammetto: è stata una delusione, avevamo lavorato tanto al progetto, poi quando era tutto ormai deciso il bonifico non è arrivato”.

Quanto tempo ci è voluto a voi soci per capire che Lewis e Aiello fossero le persone giuste a cui lasciare il Cesena?
“C’è stata subito una buona impressione sin dal primo momento in cui li abbiamo incontrati. Poi lungo il cammino c’è sempre stata una condivisione d’intenti. È stato un percorso che non ha trovato ostacoli e che ha sempre ragionato su come risolvere le problematiche. Alla fine ci ha portato a ritenere che il progetto fosse serio, proprio come Lewis e Aiello”.

Lei crede che il futuro delle squadre italiane sarà in mano a questi imprenditori stranieri? D’altra parte, il calcio ormai è quasi sempre una spesa più che un guadagno…
“Il calcio così com’è oggi è diventato molto complicato. Anche molte società di Serie A molto blasonate si trovano a che fare con dei debiti importanti e con dei bilanci ormai difficilissimi da tenere in piedi. È un calcio in profondo rosso. Prima della sentenza Bosman i presidenti avevano in mano i giocatori, ed era sbagliato. Oggi invece siamo passati all’eccesso opposto, i presidenti non hanno più forza. La forza è in mano ai procuratori e ai giocatori, quindi si ritrovano a sottoscrivere dei contratti che vanno bene solo alla controparte perché quest’ultima quando non si trova più bene nella società bussa alla porta e a quel punto sei costretto a cedere il giocatore, perché quando non c’è la voglia di rimanere viene meno anche la resa sul campo di gioco. Quando invece un presidente non è più contento di un giocatore deve comunque pagarlo fino al termine del contratto. Dalla sentenza Bosman in avanti si è arrivati a un rapporto troppo sbilanciato che crea problemi su problemi e che sta portando il bilancio delle società in pesante rosso.
Il calcio è uno spettacolo, ma è l’unico spettacolo in cui l’imprenditore quasi sempre in perdita. Questo è un po’ il paradosso che oggi ci troviamo di fronte; finché non si riuscirà a correggere questo aspetto sarà molto complicato tenere in piedi delle società sane”
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Sui social c’era anche chi invocava l’intervento di Nerio Alessandri di Technogym. Anche lei sperava in un suo interessamento?
“Non speravo nel suo interessamento in particolare, la speranza dei 28 soci era quella di riuscire a trovare qualche imprenditore del territorio che avesse voglia di tuffarsi in questa sfida. È chiaro che gli imprenditori sono liberi di muoversi come vogliono. La speranza che ci fosse la possibilità di tenere il Cesena in mano romagnole l’abbiamo sempre cercata, ma questo non è stato possibile, ci siamo guardati attorno ed accettare le manifestazioni di interesse che arrivavano da oltreoceano”.

Il Cavalluccio interessava molto anche a figure vicine al presidente della Fiorentina, Rocco Commisso. Cos’hanno mostrato in più Aiello e Lewis rispetto agli altri? 
“Dal primo momento Aiello e Lewis si sono dimostrati molto concreti, interessati e vogliosi di raggiungere questo obiettivo. Soprattutto hanno sempre dimostrato di essere puntuali negli incontri, nell’andare avanti nelle trattative, manifestando costantemente l’interesse a chiudere questa operazione. Quello che sicuramente ha tagliato la testa al toro è stato che, nel momento in cui si è deciso tutto, il bonifico è arrivato; è quello che fa la differenza (ride, ndr).

Perché non ha paura che il Cesena perda la propria identità romagnola?
“Il club, indipendentemente da chi lo guida, non può perdere la propria identità romagnola perché gioca a Cesena, in Romagna. Il Cesena può solo giocare a Cesena e quindi non può che essere romagnolo. Poi è chiaro, noi pensavamo a degli imprenditori romagnoli perché comunque c’è sempre un po’ questo spirito di campanilismo, ma allo stesso tempo va bene qualsiasi imprenditore…”

Vanno bene tutti, basta che non sia un bolognese…
(ride, ndr) Poteva andar bene anche un bolognese se avesse voluto spendere e fare il bene alla società”.

Lei spesso parlava di affidare il Cesena alla persona giusta. Il caso del fallimento della Reggiana degli americani di qualche anno fa la preoccupa?
“Come tutte le imprese quando c’è un nuovo imprenditore al timone ci possono essere dei buoni o dei cattivi risultati. In questo mondo di certo c’è solo la morte, il resto è tutto in discussione. Noi abbiamo fiducia in questi imprenditori americani che faranno bene perché hanno dimostrato di essere persone serie. Io mi auguro che possano far bene per tutto il Cesena Calcio. Per il momento ne sono convinto di ciò, poi come si dice del doman non v’è certezza come si dice, ma io sono molto fiducioso”.

Passando al calcio giocato, qual è la partita che ricorda con maggiore affetto della sua gestione?
“Ce ne sono state tante che mi hanno emozionato, ma quella che ho sentito più di tutte è stata l’ultima giornata di Serie D a Giulianova, dove ci serviva assolutamente un punto, con il Matelica che ci aveva stressato per tutto il campionato e non se ne poteva davvero più; anche se pure loro avevano una squadra fortissima. Ci bastava un punto per mantenere la distanza, ma il punto è sempre da fare, e dall’altra parte avevamo una squadra che poteva pure vincere la partita. Quella fu la partita in assoluto più sofferta, ma anche quella che ci ha regalato la soddisfazione più grande perché alla fine abbiamo vinto il campionato”.

Da vecchio tifoso del Cesena quale è, le chiedo qual è invece il ricordo più bello legato al Cesena di una volta?
“Il Cesena che andò in Coppa Uefa è stato un Cesena che speriamo si possa ripetere, fu una cosa impensabile per una città non capoluogo di provincia. Io mi ricordo che andai alle partite di quella cavalcata, uno dei Cavallucci migliori di tutti i tempi. Il Cesena in Serie A ha quasi sempre disputato dei campionati sofferti, ma poi quando ci si è salvati alla fine si sono rivelati essere dei campionati eccezionali”.

Tornando alla sua gestione, qual è la gara che per il risultato negativo non l’ha fatta dormire la notte? Immagino ci sia sempre di mezzo il Matelica…
“Quella partita non solo non ci ha fatto dormire una notte ma credo che sarà una di quelle partite che ci ricorderemo per sempre. Se la giocassimo altre mille volte il risultato rimarrebbe sul 2-2. Siccome a noi bastava un pareggio per andare avanti, non puoi mai pensare di poterla perdere dopo aver pareggiato al 95esimo”.

Sempre sulla vittoria in Serie D, a posteriori, vedendo poi l’operato di Modesto, Angelini avrebbe meritato la riconferma?
“Non si può avere la controprova, è sempre complicato dire se avrebbe fatto meglio o peggio. Angelini ha fatto bene: ha vinto il campionato e questo non è facile per nessuno. È stato bravissimo, ha fatto quello che gli avevamo chiesto di fare. Poi, nel momento in cui inizia un’altra stagione, in funzione del nostro progetto, la società aveva pensato ad una conduzione diversa. Quindi, non per mancanza di fiducia ad Angelini, abbiamo deciso di cambiare”.

Continuando sul tema allenatori, il rinnovo in estate di Viali ha esitato un po’ ad arrivare. Quali furono le ragioni di ciò?
“Non ci fu mai nessuna discussione tra le parti. Noi eravamo convinti che lui sarebbe rimasto e lui era convinto che noi gli avremmo rinnovato il contratto. Era solo una questione di tempo; non c’è mai stato un momento in cui non si voleva puntare su Viali”.

Pensa che il Cesena anche sotto la nuova proprietà farebbe bene a sfruttare l’utilizzo del minutaggio degli under?
“La nuova società ha tutto il diritto di muoversi come meglio crede, la decisione di fare giocare gli under o meno va presa in accordo con l’area tecnica. Quello che posso dire io è che non bisogna far giocare gli under per vantaggio economico, ma perché sono bravi. Se uno è bravo, lo è sia a 17 che a 30 anni. Mentre invece un ‘senior’ se a 17 anni non era ad alti livelli allora molto probabilmente non lo è neanche a 30. La differenza non la fa l’età, bensì la qualità. Sarebbe bene inserire in squadra degli under di qualità, a quel punto non c’è nessun problema a farli giocare dal mio punto di vista. Poi io non sono un allenatore e quindi non sono io a decidere”.

A proposito della nuova società, crede che arriveranno degli acquisti di rilievo in questo calciomercato invernale?
“Io personalmente non ci ho parlato ma sono convinto che qualcosa arriverà, perché questa è una stagione in cui bisognerà tentare tutto il possibile per andare in Serie B. Se non si può raggiungere la promozione diretta perché le due là davanti vanno a una velocità supersonica, e 9 punti di distacco ormai sono tanti, si può sempre tentare di vincere i playoff, dato che abbiamo un gruppo eccezionale che sta facendo molto bene. Senza stravolgere la rosa, con l’inserimento di qualche calciatore importante, potrebbe anche essere l’anno nel quale si può pensare di fare qualcosa di buono. Io però faccio parte dei soci che ad oggi hanno il 40%; il governo della società è in mano ad altri. Saranno loro a decidere se muoversi sul mercato oppure no. Io lo farei, però non sono più io a non dover decidere”.

Per quel che concerne il mercato, le dà ancora fastidio non essere riuscito a concludere per l’approdo di Pittarello in estate? Crede che potrebbe esserci un altro tentativo per lui in questo mese di gennaio?
“L’affare Pittarello è chiaro che se fosse andato in porto ci avrebbe sicuramente dato una mano, ma per come ha viaggiato la squadra non ne abbiamo sentito la mancanza. Il Cesena ha fatto un girone d’andata a livelli stratosferici, poi però abbiamo trovato davanti due squadre come il Modena e la Reggiana che sono riuscite a fare meglio di noi, ma non credo che se ci fosse stato Pittarello avremmo avuto qualche punto in più. Ora serve soltanto rafforzare la squadra sotto un aspetto numerico, non sotto l’aspetto della qualità”.

Mi vengono in mente due nomi: Ciofi e Bortolussi. In estate è stato difficile trattenerli a Cesena?
“Certo che è stato difficile. Non ce lo riconosceva nessuno, perché ci hanno criticato sul mercato, ma noi trattenendo i pezzi migliori dell’annata precedente abbiamo comunque fatto mercato. C’erano delle richieste importanti dalla Serie B. È stato difficile perché anche per il giocatore stesso fare questo salto di qualità è molto importante e invogliante. Alla fine però abbiamo trovato dei giocatori e delle persone squisite ed intelligenti che hanno accettato di buon grado di rimanere con noi. Li voglio ringraziare, perché comunque hanno accettato un attaccamento alla società e dal mio punto di vista una grande intelligenza calcistica oltre che umana”.

C’è stato un acquisto su cui lei ha messo particolarmente il “becco”?
“Non c’è mai stata questa situazione, c’è sempre stata una condivisione un po’ su tutto e soprattutto ciò veniva affidato all’area tecnica, quindi al direttore sportivo, all’allenatore e anche a Lorenzo Lelli. C’è sempre stata molta condivisione da parte di tutti e io non ho mai preso decisioni da solo. Il mio compito è stato molto facile, quello che ho cercato di fare è stato mantenere l’equilibrio e smussare a volte qualche piccola spigolosità”.

L’inserimento in prima squadra di Berti, Lepri e i gemelli Shpendi: tutti giovani cresciuti nel Cavalluccio. Pensa sia questo il periodo migliore per i colori bianconeri dopo il fallimento?
“Adesso c’è un settore giovanile che comincia a dare dei giocatori alla prima squadra. Quando siamo arrivati noi questo non si poteva fare, erano andati via tutti. Sicuramente ciò è un vantaggio sia sotto l’aspetto prima squadra sia sotto l’aspetto economico. Nel settore giovanile abbiamo investito tutti gli anni, ci costa dai settecento agli ottocento mila euro a stagione. Ma solo risorse che noi investiamo con grande piacere”.

Ora un complimento e una critica che vuole fare al Cesena per questi tre anni e mezzo.
“Il complimento è che nonostante questi due anni di Covid, che purtroppo non ci ha ancora mollato, ho trovato nello staff tecnico, in tutti i giocatori e in tutto l’ambiente del Cesena Calcio, delle persone squisite, intelligenti, capaci, e che hanno sempre dato il massimo. Una startup come eravamo noi, con questi due anni di pandemia avrebbe potuto essere travolta, invece grazie ai soci e a tutti quelli che fanno parte del Cesena, che ha uno staff da Serie A, ne siamo usciti con successo. I complimenti vanno a loro e anche a tutta la tifoseria, perché i nostri tifosi sono anche loro da Serie A. Hanno sempre voluto molto bene a me e al Cesena, li ringrazio tutti.
Per quanto riguarda la critica, io di critiche da fare non ne ho. Il dispiacere più grande che abbiamo avuto è stato l’esonero di Modesto, perché non è mai una cosa semplice, perché è sempre più bello assumere che licenziare, solo che in quel momento lì la squadra non seguiva più l’allenatore ed è stata una decisione che abbiamo dovuto prendere con sofferenza. È stato il momento più amaro della nostra gestione”
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Più volte lei ha nominato gli “haters” dei social network che a detta sua parlano a sproposito. Che rapporto ha lei in particolare con i social?
“Io ai social non do tanto peso. Il problema è che spesso a darci peso sono i giocatori e l’area tecnica, d’altronde quando uno si sente attaccato può venire influenzato in maniera negativa. Io le critiche le ho sempre vissute con tranquillità, a volte non le vado neanche a vedere. Ci sono momenti in cui il presidente deve difendere una società e il lavoro di tutto il Cesena Calcio, non è giusto essere attaccati sempre così pesantemente quando non ce n’è ragione. Non l’ho fatto perché era un qualcosa che dava fastidio a me, l’ho fatto per tutelare la squadra e alla società. Credo che sia questo il ruolo di un presidente”.

Quanto è stato difficile in questi anni conciliare il ruolo di presidente del Cesena con quello della Confcommercio cesenate?
“Non è stato difficile per un semplice motivo: ho trovato 28 soci che sono sempre stati con me! Quindi sì, ero un presidente, ma eravamo sempre tutti sul pezzo. Ho trovato degli imprenditori che non solo ci hanno messo i soldi, ma anche la passione e il cuore. È stato facile per me conciliare questi due impegni con questi soci al mio fianco”.

Lei comunque continueremo a vederla allo stadio con la sciarpa bianconera al collo?
“Questo sicuramente sì, ci mancherebbe (ride, ndr). Il calcio è una passione e il Cesena è un amore; è impossibile per me non essere allo stadio a vedere la partita”.